Destini incrociati tra Bonaccini, Zaia e De Luca: le manovre del Partito Democratico e centrodestra. Dal futuro dei tre presidenti passa anche una parte del futuro dei rispettivi partiti
Tertium non datur, dicevano i latini. E, invece, sotto la superficie un po’ sonnacchiosa della politica italiana si muove come un fiume carsico la corrente che vuole sdoganare il terzo mandato per i presidenti di regione.
Una materia delicata ed esplosiva perchè incrocia i destini personali dei singoli governatori (che nonostante le dichiarazioni di facciata, sono assai interessati al tema) con le scelte dei partiti e i loro equilibri interni. E i nomi interessati a questa eventualità sono figure di peso, per vari motivi.
Partiamo da una premessa: a rigore di legge il terzo mandato sarebbe precluso per tutti. La Costituzione, all’articolo 122, delega a una “legge della Repubblica” la disciplina del “sistema d’elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale”.
La legge della Repubblica c’è ed è la 165 quella del 2004, che senza mezzi termini stabilisce la “non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo” per il presidente della giunta regionale. Fin qui il diritto; ma poi c’è la politica.
In casa Partito Democratico si ragiona sull’opportunità di provare a modificare le norme per favorire la ricandidatura di Stefano Bonaccini in Emilia-Romagna, il granaio di voti, influenze e potere più importante per i Dem. Molto dipenderà anche dalla volontà del governatore in carica, impegnato in questi giorni in una marcata contrapposizione verso il Governo per le sue mancanze nei confronti della Romagna alluvionata.
Secondo gli ambienti di Palazzo Chigi, la vis polemica di Bonaccini è dovuta alla sua mancata nomina a Commissario straordinario per la ricostruzione, a cui gli è stato preferito il generale Francesco Paolo Figliuolo. Una seconda ‘sconfitta’, questa di tipo istituzionale – viene detto -, dopo quella politica subita alle primarie del Pd per mano di Elly Schlein e della coalizione di correnti che la sosteneva, che sarebbe all’origine del nervosismo del politico emiliano.
Lo sbocco politico naturale per Bonaccini sarebbe il ruolo di capolista nella Circoscrizione Nord-Est alle prossime Europee 2024, ma questa scelta aprirebbe una serie di problemi: la mancata individuazione di un suo successore e il ruolo di primo piano che assumerebbe l’attuale vice, Irene Priolo, che in caso di elezione di Bonaccini a Bruxelles farebbe per almeno 6 mesi (il tempo necessario a portare la Regione a scadenza naturale nel 2025) la facente funzioni di presidente.
Un’investitura indiretta che per molti sarebbe un problema. Insomma, la strada verso l’Europarlamento per Bonaccini è meno agevole delle previsioni.
Da qui l’ipotesi del terzo mandato, da ottenere tramite un patto non scritto col Governo Meloni e la sua maggioranza: scambiare lo svincolo per un nuovo ‘giro’ di Bonaccini con quello che – con ogni probabilità – ripeterebbe anche Luca Zaia in Veneto.
E il destino del governatore leghista agita le acque nel centrodestra più di quanto possa apparire. Lui si proporrebbe per il suo quarto mandato, ma la scelta di adeguare la legge regionale solo nel 2012 adeguandola al limite dei 2 mandati fissato dalla legge nazionale, ha fatto sì che il “contatore” di Zaia si sia azzerato consentendogli di svolgere altre due legislature regionali senza forzare la legge. Ma per la quarta elezione servirebbe una modifica della normativa nazionale.
Per una Regione saldamente nelle mani del centrodestra grazie al forte consenso personale del governatore in carica, potrebbe valerne la pena, si ragiona negli ambienti di Governo. Se Zaia vorrà proseguire, dunque, sarà difficile dirgli di no.
Chi lo conosce meglio, vede improbabile la sua candidatura alle Europee: lasciare il ruolo di ‘zar’ del Veneto per indossare i panni dell’anonimo deputato europeo. Tanto più che farebbe parte del gruppo di Identità e Democrazia, la famiglia di cui fa parte la Lega a Bruxelles e Strasburgo con la scomoda compagnia di Marine Le Pen, dei tedeschi di Afd e altri partiti estremisti destinati a continuare ad essere relegati ai margini della vita politica europea. Un ruolo che non si attaglia alle caratteristiche del moderato e popolare Zaia.
Al contempo, tenerlo fuori da tutto potrebbe pericolosamente divaricare la spaccatura presente da tempo nel gruppo dirigente leghista sulla leadership di Matteo Salvini: non converrebbe a nessuno.
Per il Pd c’è un ulteriore problema: lo scambio Bonaccini-Zaia darebbe al campano Vincenzo De Luca il lasciapassare giuridico per tentare l’assalto verso la terza elezione. I rapporti di reciproco disprezzo con la segretaria Schlein non sembrano propizi per individuare strade alternative come la candidatura europea, ma al contempo molti dirigenti politici vicino alla segretaria (soprattutto quelli di lungo corso) sanno che rinunciare a De Luca governatore significa correre il serio rischio di perdere un’altra regione. Con tutte le conseguenze del caso
Poi c’è il fronte dei sindaci delle grandi città al secondo mandato (una lobby piuttosto forte nel Pd, anche se schierata dalla parte degli sconfitti all’ultimo congresso) che potrebbero porre un problema di metodo: concedere il terzo mandato ai presidenti di Regione e non ai sindaci dei comuni capoluogo? Un affronto insopportabile agli occhi di chi si ritiene indispensabile per la vita della propria città, senza capire che, in realtà, anche per i sindaci vale la regola dei Papi: finito uno, se ne fa un altro.
La partita sul terzo mandato è appena iniziata e da settembre potrebbe mostrare sorprendenti intese tra maggioranza e opposizione.
Articolo pubblicato su “Il Riformista” del 17 agosto 2023