Il Consiglio affari esteri ha avuto all’ordine del giorno, su nostra proposta, non soltanto la situazione drammatica in Iraq, ma anche quella in Medio Oriente, quella in Libia ed un aggiornamento sulla situazione in Ucraina: tre punti ai quali, se i presidenti me lo consentono, eviterei di fare riferimento nel mio intervento iniziale, ma sono chiaramente a disposizione per parlarne in sede di replica, se sollecitata.
Questi dodici, tredici giorni, che sono passati dalla visita del Viceministro Pistelli in Iraq e nella Regione autonoma del Kurdistan, dalla mia telefonata con Barzani alla giornata di oggi, li abbiamo impiegati per costruire una cornice internazionale, a partire da quella europea. Oltre al Consiglio affari esteri a Bruxelles, abbiamo lavorato con una serie di contatti costanti con gli interlocutori della regione. Ho avuto conversazioni telefoniche sulla situazione irachena con i miei omologhi di Paesi che hanno un’influenza chiara e diretta perché confinanti o perché hanno relazioni particolarmente forti con parti interne dell’Iraq. Ho parlato con il Ministro degli esteri iraniano, turco, emiratino, qatarino, giordano e, ovviamente, i contatti con il Vaticano sono stati molto frequenti. Tutto ciò, su tre linee di azione che abbiamo poi condiviso con i nostri partner europei la settimana scorsa a Bruxelles.
Primo: immediati aiuti umanitari. L’Italia aveva stanziato già un milione di euro per gli aiuti umanitari: 500 mila euro all’Organizzazione mondiale della sanità per gli sfollati nelle regioni di Erbil, Dohuk e Sulaymaniyah, più un milione di euro per un fondo presso la nostra ambasciata a Baghdad e gli uffici di Erbil (quindi Kurdistan), per progetti delle ONG nel campo della sanità, dell’istruzione e della formazione professionale. A questo si sono aggiunti, come sapete, negli ultimi sei giorni, sei voli fatti insieme alla Difesa (di cui l’ultimo si conclude oggi), che hanno portato in totale 50 tonnellate di acqua e generi alimentari di prima necessità, per l’esattezza biscotti proteici, 200 tende, 400 sacchi a pelo. Questo sul versante degli aiuti umanitari.
Dal punto di vista europeo, abbiamo condiviso la scelta, insieme agli altri Stati membri, di attivare meccanismi di cooperazione europea che consentano di coordinare gli aiuti, in modo tale da non avere chiaramente overlapping, doppioni di consegne che magari poi diventano poco utili. Quindi, è stato messo in campo un meccanismo di coordinamento europeo.
Il secondo piano di intervento – quello su cui abbiamo lavorato con il Ministro Pinotti in questi giorni – riguarda il lavoro sulle modalità di una risposta positiva, che oggi sottoponiamo a queste Commissioni, alla richiesta delle autorità irachene, Governo centrale e Regione autonoma del Kurdistan, di forniture militari. Si tratta di un punto su cui chiaramente entrerà più nel dettaglio la comunicazione del Ministro Pinotti, ma per noi era fondamentale che questo lavoro si svolgesse innanzitutto con un contesto internazionale ed europeo – su cui poi tornerò – e con un coinvolgimento parlamentare, che credo oggi possa compiersi; ma questo chiaramente dipenderà dalla volontà delle Commissioni.
Il terzo piano, che dal mio punto di vista, però, è quello più fondamentale, è il piano dell’azione politica. Sono convinta, come credo molti di voi qui, che sia il piano degli aiuti umanitari, sia il piano del sostegno sul versante della sicurezza militare, possano essere indispensabili nell’immediato: noi valutiamo che siano indispensabili nell’immediato e in queste circostanze, ma difficilmente rappresentano la soluzione a lungo termine di qualsiasi crisi.
Il punto fondamentale è lavorare – e lo stiamo facendo anche in queste ore con la presenza del Presidente del Consiglio Renzi in Iraq – a un quadro sostenibile all’interno dell’Iraq e nella regione. Per questo abbiamo lavorato, insieme agli altri europei, nel quadro delle Nazioni Unite e con gli attori principali della regione, affinché ci fosse in tempi rapidi l’indicazione di un nuovo Presidente del Consiglio designato, cosa che è avvenuta la settimana scorsa. Ed è significativo – credo – che al-Abadi abbia ricevuto l’incoraggiamento e l’invito a procedere velocemente alla formazione di un Governo inclusivo, anche dall’Iran, oltre che da Washington, dall’Araba Saudita e dall’Unione europea, con un quadro consensuale che difficilmente si riscontra in quella regione, a cui abbiamo lavorato anche noi. Un quadro che possa, appunto, nei prossimi giorni definire un nuovo assetto per l’Iraq: un assetto realmente inclusivo che – come dicevamo già a giugno nelle conclusioni dei lavori Unione europea-Lega Araba – chiamasse insieme il Governo di Bagdad, la regione autonoma del Kurdistan e tutta la società irachena a reagire alla minaccia dell’ISIS. Questa – quella della costruzione di un quadro politico inclusivo che garantisca l’unità, l’integrità territoriale dell’Iraq e il suo inserimento in un contesto regionale che aiuti a rispondere a questa minaccia, che è minaccia per gli iracheni ma è minaccia per tutta la regione ed anche per l’Unione europea e per il mondo intero – è la vera condizione alla quale è urgente ed importante lavorare ed è quello che stiamo facendo.
Come dicevo, due sono stati gli elementi per noi imprescindibili, nel lavoro che abbiamo svolto in questi giorni: uno è il quadro di riferimento internazionale. Per questo abbiamo chiesto la convocazione del Consiglio affari esteri, anche se a Ferragosto non tutti erano felici di partecipare, ma è stata una riunione – devo dire – estremamente utile e importante, che ha registrato un livello di unanimità raro, che io in questi sei mesi di lavoro ho visto poche volte, e che nelle sue conclusioni afferma – lo cito perché penso che possa facilitare i nostri lavori, anche se immagino che molti di voi abbiano già avuto modo di leggerlo – che il Consiglio accoglie con favore la decisione dei singoli Stati membri di rispondere positivamente alla richiesta delle autorità del Governo regionale curdo di ricevere urgentemente materiali militari, sulla base delle capacità e delle leggi nazionali degli Stati membri e con il consenso delle autorità nazionali irachene.
In particolare, il passaggio sul consenso delle autorità nazionali irachene per noi era fondamentale ed è fondamentale, perché il principio di base dell’unità del Paese e della necessità di lavorare insieme e di procedere ad un’azione inclusiva richiede anche da parte della comunità internazionale di passare attraverso canali istituzionali internazionalmente riconosciuti e, quindi, anche dal punto di vista della valutazione sulle modalità di risposta alla richiesta di sostegno militare, non potrà, da parte nostra, che passare dai canali istituzionali internazionalmente riconosciuti.
Il secondo elemento che ha composto il quadro di riferimento internazionale a cui abbiamo lavorato in questi giorni è avvenuto il giorno dopo Ferragosto, il 16 agosto, con la risoluzione n.?2170 delle Nazioni Unite, che, tra le altre cose – il testo è in inglese, ma lo traduco sommariamente – riafferma la necessità di combattere con ogni strumento, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite e con l’ordinamento internazionale, le minacce alla pace internazionale e alla sicurezza causate da atti terroristici.
Quindi, questi due elementi, da una parte le conclusioni del Consiglio Affari esteri del 15 agosto, dall’altra la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 16 agosto, credo che ci diano il quadro internazionale di riferimento dentro il quale desideriamo muoverci e che abbiamo sollecitato in modo determinante.
Il secondo elemento per noi imprescindibile era un passaggio di coinvolgimento del Parlamento, perché, anche se non formalmente necessario ed indispensabile, per noi è politicamente fondamentale condividere questo passaggio e queste valutazioni insieme alle Commissioni competenti.
Per non prendere troppo del vostro tempo, credo di poter concludere innanzitutto con un ringraziamento al lavoro che il personale della nostra ambasciata a Baghdad e dell’ufficio a Erbil, a partire dal nostro ambasciatore, hanno fatto in questi giorni, nonché a tutta la struttura, sia della Farnesina, sia del Ministero della difesa, che hanno lavorato per consentire questo quadro, ribadendo l’urgenza della nostra azione e della nostra decisione, perché qui è a rischio innanzitutto la vita di civili cristiani, yazidi, musulmani, tantissime persone. Credo che sia un dovere politico, ma innanzitutto morale, rispondere a questo dramma umanitario.
È a rischio anche la stabilità, già molto compromessa, di una regione che per noi è strategica e vicina, parliamo del Medio Oriente; è a rischio la sicurezza internazionale, a partire dalla sicurezza dei nostri stessi territori dell’Unione europea; è rischio un principio, quello della convivenza tra differenze in uno stesso territorio, differenze religiose, differenze etniche, differenze di vita. Se ci limitiamo a registrare che c’è chi afferma la necessità, non soltanto di uccidere, ma anche di negare che sia possibile la coesistenza pacifica all’interno di uno stesso Stato e di uno stesso territorio tra persone differenti, credo che ne vada della coerenza dei nostri stessi principi e dei nostri stessi valori.
Ci tengo, quindi, a dire che c’è una grande differenza col passato. Qui è a rischio davvero la possibilità di considerare valido il principio di convivenza, non c’è nessuno scontro di civiltà, nessuna guerra di religione, non è questo, in nessun modo, lo spirito che anima la riflessione di questi giorni, anzi il contrario: è la necessità di affermare che non c’è nessuno scontro di civiltà e che non c’è nessuno scontro di religioni, ma c’è il diritto di tutti – cristiani, yazidi, musulmani, civili, popolazioni inermi, bambini, donne e uomini – di vivere nel proprio territorio. Questo è lo spirito con cui si sta lavorando in questi giorni e in queste ore e quello su cui abbiamo lavorato con il Ministro Pinotti – e su cui credo che lei possa essere più precisa di me nell’articolare le modalità della nostra risposta alla richiesta di forniture militari – cioè il contrasto ad una organizzazione terroristica così definita da diverse risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ultima delle quali quella, che citavo, dello scorso 16 agosto e, prima di quella, la n.?2169 del 30 luglio, nonché da parte delle autorità istituzionali irachene.
Quindi, anche il ragionamento sulla cessione dei sistemi di armamento avviene nell’ottica di cessione da Governo a Governo e credo che questo ci consenta, insieme al resto del quadro di riferimento internazionale che ho descritto, di avere una valutazione non soltanto politicamente positiva, ma anche, da un punto di vista della corrispondenza alla legalità internazionale e alle leggi nazionali, del tutto positiva.