Il 28 febbraio 2013 rimarrà una data scolpita nella pietra della storia. Segna l’addio al soglio pontificio di Papa Benedetto XVI, un fatto che ha un solo altro precedente analogo ed è quello compiuto più di 700 anni fa da Papa Celestino V (il famoso pontefice del ‘gran rifiuto’). Un evento straordinario, trasmesso in diretta dalle tv, radio e siti web di tutto il mondo.
Mi corre la mente alla fine del precedente pontificato, quello di Giovanni Paolo II. Quella fu una lunga, lenta ed estenuante agonia fisica, anch’essa trasmessa minuto per minuto dai media. Per ragioni diverse, sono due papi che troveranno spazio nei libri di storia. E indelebili rimarranno le immagini di quell’elicottero bianco che sorvola la città eterna e trasporta il Santo Padre verso la clausura. Così come rimarrà per sempre l’istantanea del portone di legno di Castel Gandolfo che si chiude, come un sipario che cala sul pontificato di Benedetto XVI.
Il gesto del ‘Papa emerito’ è stato letto, interpretato e analizzato da milioni di articoli. Voglio aggiungere un mio punto di vista. La solennità del cerimoniale vaticano che ha accompagnato l’uscita di scena di Ratzinger, sottolinea ed accentua la grandezza del suo gesto. Mostra al mondo quanto quegli ambienti conservino ancora un’aurea che non è più di questo tempo; ma che allo stesso tempo suscitano rispetto, fascino, attrazione. Il gesto di colui che era vicario di Cristo sulla Terra, verrà ricordato e citato come il massimo esempio di ciò che si intende per “senso di responsabilità”.
E offre una ispirazione su come poter affrontare la difficile situazione politica che sta vivendo il nostro Paese. Ratzinger ci richiama tutti, senza distinzioni di colore politico, ceto sociale o altro, ad una riflessione su ciò che deve venir prima: è più importante il rispetto delle liturgie o un’azione fuori dagli schemi e dai diktat di partito (o di movimento), compiuta per il bene comune? Confido che la seconda opzione sia quella che molti parlamentari (tra cui sicuramente il sottoscritto) sceglieranno.