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Fusioni tra Comuni: non un dogma, ma nemmeno un tabù

Non sono un sostenitore delle fusioni tra Comuni fine a se stesse, ma sono convinto che in molti casi possano produrre degli effetti positivi: non solo e non tanto per i risparmi economici e le maggiori risorse di cui le comunità potrebbero beneficiare (concetto importante, ma riduttivo), quanto per la possibilità di mettere in campo sinergie, competenze e una programmazione comune che spesso è ciò che manca.

Certo occorre che i territori interessati siano omogenei e abbiano caratteristiche territoriali, sociali ed economiche tali da rendere possibile e conveniente l’unione di due o più Comuni. Ecco perché dico che le fusioni non sono positive “a prescindere”: bisogna studiare, capire, discutere ogni singolo caso e farlo, soprattutto, assieme agli abitanti del territorio interessato. Senza forzare in un senso o nell’altro.

Sulla base della legislazione nazionale (che incentiva fortemente le fusioni grazie alle norme introdotte dal parlamento) e regionale, l’unione di due Comuni di 1200 e 4600 abitanti (come ad esempio Tredozio e Modigliana) produrrebbe in aggiunta alla somma dei due bilanci, un contributo annuo di circa 750mila euro per i prossimi dieci anni.

Senza dubbio le fusioni non sono la panacea per ogni male; ma si esaminino le condizioni, si valutino gli effetti non solo economici, si costruisca un progetto di lungo periodo (che vada possibilmente oltre il mandato dei singoli amministratori) e poi se ne discuta insieme ai cittadini, alle associazioni e alle imprese. Dall’ascolto delle diverse realtà si potrebbe scoprire, ad esempio, che ciò che vale per una vallata non è valido per un’altra e che fusioni in apparenza “scontate”, in realtà non avrebbero alcun effetto benefico per i cittadini di quei territori e viceversa. 

Lasciamo da parte la questione dell’identità, che non è certo data dai confini amministrativi, ma piuttosto dalle storie, dalle tradizioni che si rinnovano, dagli eventi, dalle botteghe e attività economiche, dalla gente che vive e lavora in un determinato luogo contribuendo a renderlo unico. Interroghiamoci, semmai, su come riusciamo ad assicurare i servizi per assicurare che l’identità e la vitalità dei nostri paesi rimanga intatta e, se possibile, accresca ulteriormente.

Al contempo, è necessario far funzionare quello che già c’è: l’Unione dei Comuni. Definire insieme alcune priorità (come, ad esempio, i collegamenti viari) e sostenerle in Provincia, in Regione o nel rapporto con le istituzioni nazionali, potrebbe dare risultati migliori rispetto alle singole azioni isolate. La costituzione della società in house per la raccolta dei rifiuti, la creazione stessa dell’Unione o la scelta di realizzare un’unica società di gestione delle partecipazioni pubbliche, sono esempi lampanti di come, unendo le forze, si possano affrontare sfide e cambiamenti completamente differenti dal passato. E’ quello che bisogna fare, sapendo che la quota maggiore di impegno e di generosità spetta al soggetto più grande, Forlì, la cui presenza all’interno dell’Unione fu voluta proprio per questo.

Per questo vale la pena studiare, approfondire, discutere insieme anche della questione delle fusioni, coinvolgendo direttamente tutti i soggetti e le realtà interessate. Lasciare l’argomento nel cassetto, sarebbe un errore.

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