Sfogliando il materiale presentato sull’attività della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì nei primi sei mesi dell’anno, balzano agli occhi i numeri positivi e le opere finanziate (su cui non entro nel merito in questa sede); ma c’è anche una considerazione/insegnamento che appare molto evidente: le scelte basate sulla convenienza di corto respiro rischiano poi di rivelare in futuro tutta la loro negatività.
Cerco di spiegare cosa voglio dire. Più o meno una dozzina d’anni fa a Forlì fu molto acceso il dibattito sull’opportunità o meno di cedere la quota di controllo della Cassa dei Risparmi di Forlì al gruppo Intesa. Molte voci contrarie, alcune a favore, tante spaventate davanti a una questione che appariva troppo grande per essere trattata in un territorio di provincia. Eppure alla fine scelsero di vendere, a condizione che venissero rispettati una serie di paletti su remunerazione dei soci, governance, territorialità, ecc. Di lì a poco analogo dibattito si sviluppò attorno al destino della Cassa di Cesena, che scelse, invece, di continuare con orgoglio lungo la propria strada.
Oggi, dopo qualche anno, a Forlì non si è più titolari della Cassa (largamente controllata da Intesa-Sanpaolo e nel frattempo diventata CariRomagna), ma il territorio forlivese può contare su una Fondazione con un patrimonio che supera i 450 milioni di euro e consente di erogare (nonostante le difficoltà) anche quest’anno ben 11,5 milioni di euro per servizi, assistenza e sviluppo nei comuni dell’area forlivese.
A Cesena, purtroppo, la situazione è diametralmente opposta: Fondazione con patrimonio in caduta libera, erogazioni sul territorio quasi annullate, Cassa in profonda crisi, valore delle azioni (la Fondazione è ancora il principale azionista) ridotto al minimo e nessuno che voglia comprare la banca. Chi oggi, dalle altre sponde della Romagna, sorride sotto i baffi per la situazione della Cassa di Cesena sbaglia di grosso; la difficoltà di CRC è un problema per tutto il sistema economico locale e lo è anche sotto il profilo sociale. Bisogna aiutare quella situazione a risolversi nella maniera più positiva e indolore possibile. Chi può farlo, deve farlo, evitando di ripetere l’errore troppo spesso commesso di mettere il campanile davanti a tutto anziché l’interesse generale delle persone e delle imprese.
Credo, tuttavia, che non si possa ignorare l’insegnamento che deriva da queste vicende: due istituti di credito e due Fondazioni partite di fatto nelle stesse condizioni e nello stesso territorio provinciale, oggi si trovano in posizioni che sono tra loro agli antipodi. Molte sono le ragioni, ma la principale è che forse in un caso si è presa una decisione dettata più dalle esigenze del momento che dalla prospettiva futura. Col risultato che da una parte (Forlì) un’ipotesi di futuro è possibile immaginarla e provare anche a realizzarla; dall’altra (Cesena) appare compromessa persino la possibilità di immaginare qualcosa. Conoscere e riconoscere gli errori è il modo migliore per imparare la lezione e non ripeterli.