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Dopo il fallito colpo di Stato la deriva autoritaria: basta silenzi sulla Turchia

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La sua collocazione geografica, la sua storia, il suo potenziale economico, le sue relazioni con il resto del mondo, il suo peso nelle dinamiche del Medio Oriente, la sua presenza nella NATO, l’appoggio logistico alla coalizione militare anti-Isis e molte altre ragioni, fanno della Turchia un interlocutore obbligato per la gran parte degli Stati esistenti nel pianeta.

Recep Tayyip Erdogan sa bene come stanno le cose e sta approfittando di questa condizione per sgombrare il campo da ogni forma di opposizione e instaurare un vero e proprio sultanato. Secondo un sistema di cerchi concentrici, ha avviato un processo di normalizzazione di intere categorie sociali attraverso epurazioni e rimozioni forzate, assumendo a pretesto per tutto ciò un tentativo di colpo di Stato pieno zeppo di ambiguità che porta molti a pensare (forse non a torto) che anche quello sia stata una sua macchinazione.

Ad avvalorare questa tesi sono non solo i clamorosi errori e le contraddizioni di quel golpe (ad esempio: perché i caccia dei golpisti non hanno abbattuto l’aereo di Erdogan dopo averlo intercettato e affiancato in volo?); ma anche il continuo scagliarsi del presidente turco contro un esiliato come Fethullah Gulen, accusato di essere il regista del golpe. Gulen non è uno stinco di santo, ma pensare che dalla Pennsylvania abbia potuto coordinare un’operazione militare di questa portata è troppo anche per il più sprovveduto degli osservatori.

La comunità internazionale non può stare a guardare; la reazione deve essere compatta, forte e ben ragionata; perché le libertà fondamentali di un popolo non si possono cancellare con un colpo di spugna e allo stesso tempo chi vuole la pace e combattere il terrorismo, non può ignorare il posto occupato dalla Turchia nello scacchiere globale. Ne è ben consapevole Erdogan e lo è altrettanto Daesh (Isis), che – in un momento in cui stava perdendo terreno, approvvigionamenti e uomini – è l’unico a trarre un reale vantaggio dal caos scoppiato ad Ankara. Il che deve far riflettere e, contestualmente, agire.

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